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È indispensabile definire quali sono i benefici incrementali di una terapia.

Intervista al Prof. Paolo Vercellini
Direttore Unità Operativa Complessa Ginecologia, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

Abbiamo posto le stesse domande a tre professionisti: queste le risposte del Prof. Paolo Vercellini

Alle pazienti vengono spiegate le complicanze di un intervento invasivo? Esiste un limite?
La definizione di “intervento invasivo” necessita prima di tutto della descrizione di diverse situazioni cliniche. Ad esempio, per una donna che non ha ancora desiderio di prole, può essere troppo invasiva anche una semplice laparoscopia per cisti endometriosiche asintomatiche di due o tre centimetri, perché è una situazione che può essere molto ben gestita con dei semplici trattamenti medici, senza rischiare di danneggiare la riserva ovarica necessaria per una futura gravidanza. Quando invece ci si trova di fronte a situazioni molto più complesse, in particolare di endometriosi cosiddetta profonda, retto-vaginale o che coinvolga intestino o ureteri, il giudizio di “eccessivamente invasivo” è molto più difficile e deve basarsi su una serie di considerazioni, quali la presenza di condizioni che rendano la chirurgia inevitabile, ad esempio stenosi intestinali sintomatiche o stenosi dell’uretere che rischiano di mettere a repentaglio la funzionalità di un rene. In questi casi non c’è discussione, la chirurgia è l’unica soluzione e deve essere una soluzione radicale che può comportare resezioni intestinali o la resezione e il reimpianto dell’uretere. Ci possono essere altre situazioni in cui le donne non rispondono al trattamento medico, non hanno come primo obiettivo la fertilità, ma hanno un problema di importante dolore e hanno quindi come alternativa la chirurgia. A questo punto bisogna però essere in grado di definire un bilancio tra i benefici attesi, i danni possibili e il rischio di complicazione. E’ importante considerare il tutto nella prospettiva del cosiddetto beneficio incrementale: quanto guadagna la donna da una chirurgia ultraradicale rispetto a una chirurgia standard in termini di ulteriore beneficio sul dolore? È da questo rapporto che è possibile valutare se questo eventuale incremento di beneficio è proporzionale al rischio che la donna corre, tenendo sempre conto che, fortunatamente, non stiamo parlando di una patologia mortale, anche se può compromettere gravemente la qualità della vita essendo legata alla salute, alla sessualità e a molti aspetti psicologici.
E’ indispensabile esprimere in termini quantitativi questi benefici incrementali, così come i bilanci tra beneficio incrementale atteso e rischi di complicazione. In particolare, la paziente deve ricevere informazioni sulle percentuali di rischio effettuando una chirurgia ultraradicale, ad esempio di incorrere in problemi di denervazione vescicale, che possono comportare cateterismo o autocateterismo anche a lungo termine, problemi di denervazione intestinale, che possono comportare disfunzioni di tipo stiptico anche importanti, oppure problemi quali deiscenza delle suture intestinali, formazione di ascessi pelvici, emorragie, lesioni ureterali, formazioni di fistole retto-vaginali. Queste ultime necessitano di una successiva assistenza medico-chirurgica prolungata, con necessità di mantenere una derivazione intestinale per alcuni mesi, di riparare la fistola chirurgicamente nel caso non guarisse spontaneamente, e di successiva ricanalizzazione dell’intestino richiudendo la stomia: un calvario che può durare diversi mesi. Conseguentemente, è doveroso che la donna non solo conosca questi rischi in termini generali, ma li conosca in termini percentuali assoluti e possa decidere cosa fare. Il ginecologo deve facilitare questo percorso, ma sapendo che la scelta finale deve essere della donna, perché solo la donna può valutare in base alle priorità personali cosa sia meglio per sé stessa e qual è il livello di rischio che intende correre. La scelta finale non deve essere presa unilateralmente dal medico, e non può esistere una posizione standard indipendente dalla paziente. La chirurgia – ad eccezione delle condizioni cliniche di cui ho parlato prima – va modulata sui problemi e sulle preferenze della paziente, non sulla lesione. Inoltre, l’impatto di lesioni simili è diverso da donna a donna e pazienti diverse, a parità di lesioni, possono essere poco o molto sintomatiche. Inoltre, ci sono lesioni retto-vaginali che comportano importanti dolori al rapporto, ma alcune donne preferiscono gestire la situazione col partner piuttosto che sottoporsi a chirurgia. Tutto dev’essere personalizzato, bisogna decidere insieme alla diretta interessata il grado di radicalità rispetto al grado di potenziale beneficio aggiuntivo.

Quanto le pazienti sono a conoscenza delle complicanze di un intervento?
Questo è un problema della chirurgia in generale: informazione e consulenza sono determinanti. La decisione della paziente dipende in buona parte dall’informazione fornita dal ginecologo: la consulenza pre-chirurgica è fondamentale e deve essere esaustiva, trasparente e onesta. Non deve essere necessariamente una consulenza neutra, ma se la paziente viene informata che una lesione intestinale molto probabilmente progredirà e potrebbe causare una occlusione intestinale anche in maniera imprevista, è ovvio che sia più disposta ad affrontare un’operazione di resezione dell’intestino. In centri diversi l’approccio può essere radicalmente diverso. Nel nostro centro abbiamo una frequenza di resezioni intestinali molto bassa rispetto al numero e tipologia di pazienti osservate (valutiamo 50/60 pazienti con endometriosi alla settimana). Infatti, l’endometriosi intestinale non severamente stenosante o sub-occlusiva può essere gestita con trattamento medico. In altri centri la resezione intestinale non è sistematica, ma è comunque notevolmente favorita rispetto al trattamento medico. Una modalità non è necessariamente meglio dell’altra, ma l’importante è che la paziente sappia che le due opzioni sono entrambe praticabili e che vi sono dei risultati buoni sia per la chirurgia sia per il trattamento medico.
La resezione intestinale è in assoluto il momento più rischioso di tutta la chirurgia per l’endometriosi. Anche la chirurgia sull’ovaio è rischiosa per il futuro riproduttivo della donna, ma non per la sua vita. Così come una denervazione vescicale che lasci sequele a lungo termine è un grande problema.
Tramite Internet le pazienti sanno molto bene quale è l’orientamento di un centro rispetto a un altro, ed è probabile che si auto-selezionino: chi preferisce un trattamento medico o, se possibile, vuole evitare la chirurgia probabilmente viene da noi. Altri centri che prediligono il trattamento chirurgico di prima linea, probabilmente accolgono donne che preferiscono questo approccio piuttosto che l’uso di terapie ormonali per anni.

Quali mezzi esistono per fare chiarezza?
Diffondere le informazioni derivanti da revisioni sistematiche della letteratura su risultati, rischi, benefici e danni delle terapie mediche e chirurgiche è molto importante. L’ultima linea guida in ordine di tempo, pubblicata nel settembre 2017, è del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) inglese e prevede sezioni informative per la paziente con supporti definiti decision aids, anche grafici, molto chiari ad esempio per far capire alle donne qual è il rischio addizionale di trombosi o di carcinoma della mammella per un uso prolungato della pillola contraccettiva. Tali decision aids sono disponibili sul sito NICE (https://www.nice.org.uk). Noi li abbiamo tradotti in Italiano e li offriamo alle nostre pazienti.
Inoltre, è importante ricordare che né la terapia medica né la chirurgica, per quanto ultraradicale, possono garantire il successo assoluto e duraturo. Infine, se la chirurgia non è seguita da un trattamento medico, è noto che le probabilità di recidiva del dolore sono alte a distanza di qualche anno. Infatti, la chirurgia elimina le lesioni, ma non elimina la propensione soggettiva allo sviluppo della malattia.
È importante un’informazione capillare e quantitativa sui benefici e sui rischi delle varie opzioni terapeutiche per favorire davvero una medicina centrata sulla paziente. Non è vero che l’eccellenza sia necessaria esclusivamente per il trattamento chirurgico. Anche i risultati che si possono ottenere col trattamento medico sono associati all’esperienza che si ha con l’uso di diversi farmaci. Le terapie vanno individualizzate e le componenti ormonali modulate a seconda del tipo di effetto collaterale che si osserva. Quindi, anche in questo caso è necessario essere cauti prima di affermare che il trattamento medico è inefficace: dipende da quale trattamento, così come per il trattamento chirurgico. Teniamo anche presente che i dati della letteratura scientifica sull’effetto della chirurgia sono il risultato dell’operato dei migliori chirurghi del mondo. Questo pone un problema di generalizzabilità: se lo studio è stato condotto in un centro con chirurghi tecnicamente molto più capaci della media dei chirurghi disponibili, non è corretto sostenere tout court che quello è ciò che si può ottenere con la chirurgia. Non è detto che i risultati ottenuti da quel chirurgo, o gruppo di chirurghi, incluso il rischio di complicazioni, siano replicabili nelle mani di tutti i chirurghi. Le stesse procedure applicate in ospedali con chirurghi meno esperti possono portare a risultati meno favorevoli.
Fin qui abbiamo parlato di trattamenti per il dolore, ma la chirurgia ultraradicale viene oggi proposta anche per l’infertilità. Tuttavia, non ci sono oggi prove definitive che dimostrino che resecare l’intestino per lesioni intestinali possa aumentare le probabilità di concepimento naturale. La resezione colo-rettale è oggi proposta da centri molto famosi anche per aumentare le possibilità di gravidanza con la fecondazione in vitro. Credo che qui si debba essere molto prudenti. Intanto è molto difficile discriminare l’effetto della chirurgia sull’intestino rispetto alla chirurgia per altre lesioni. Infatti, è raro che una paziente abbia solo una lesione intestinale e questa di solito fa parte di un quadro pelvico importante e complesso. Conseguentemente, si trattano anche aderenze, endometriosi peritoneale ed eventuali cisti ovariche. Come sia possibile discriminare l’effetto dell’intervento chirurgico in generale rispetto alla rimozione di lesioni intestinali non è chiaro e sinora nessuno studio ha dimostrato in modo inequivocabile il vantaggio specifico della resezione intestinale.
Quando l’obiettivo è una gravidanza il problema dei benefici incrementali è particolarmente importante, perché né la chirurgia né la fertilizzazione in vitro offrono alla malata con endometriosi severa un’elevata probabilità di concepimento. Infatti, le probabilità di successo non sono generalmente superiori al 35-40%. Poiché si parte già da probabilità non molto alte, dobbiamo bilanciare i rischi di una resezione intestinale col beneficio incrementale, comunque limitato, in termini di aumento della probabilità di gravidanza.

Un famoso ginecologo inglese sosteneva: «Purtroppo coloro che effettuano le fecondazioni in vitro non sono le stesse persone che assistono le donne in sala parto». Infatti, oggi sappiamo che le donne con endometriosi profonda sono a maggior rischio di alcune complicazioni ostetriche anche gravi. Si sostiene spesso che la gravidanza è la panacea dell’endometriosi, ma per alcune donne non è così. Ad esempio, proprio in gravidanza alcune localizzazioni profonde possono, per ragioni non ancora del tutto chiare, sanguinare in modo lento e silente, portando la donna al collasso senza che ci siano sintomi acuti. Questo è il cosiddetto emoperitoneo in gravidanza, che può colpire una donna su 200 con endometriosi profonda. È una complicazione potenzialmente molto seria anche per la vita del neonato, dato che può essere necessario praticare un parto cesareo molto prima del termine. Inoltre, le donne con endometriosi profonda hanno un rischio sei-sette volte maggiore, rispetto alla popolazione generale, di sviluppare una placenta previa, cioè posta in basso sopra al collo dell’utero. Tale situazione mette la donna a rischio di emorragie e necessita di un parto cesareo. Se queste donne sono state precedentemente sottoposte a interventi per endometriosi severa, l’effettuazione di un taglio cesareo può essere tecnicamente complicata. Inoltre, se si verifica un’emorragia uterina difficilmente controllabile – evento non raro in casi di placenta previa – può rendersi necessaria l’asportazione dell’utero. Tuttavia, un conto è asportarlo in una donna che non ha subito interventi per endometriosi, altro conto è asportarlo in donne che hanno subito ripetuti interventi anche sull’intestino. Tutte queste informazioni vanno fornite specialmente quando si propone una fertilizzazione in vitro perché, una volta informata della probabilità di queste complicazioni, una donna potrebbe anche decidere di non voler correre tali rischi. Queste informazioni devono essere particolarmente dettagliate quando si prospetta la possibilità di effettuare un’ovodonazione, perché la gravidanza in quel caso è molto più probabile. Queste procedure dovrebbero essere effettuate esclusivamente in centri con vasta esperienza di endometriosi severa, perché i rischi sono addizionali. Infatti, le donne con endometriosi profonda hanno un rischio di placenta previa di sei, sette volte superiore rispetto alla popolazione generale se ottengono una gravidanza con tentativi naturali. Ma se le stesse donne si sottopongono a fertilizzazione in vitro, il rischio aumenta ancora di più proprio a causa di questa procedura medicalmente assistita che aumenta il rischio indipendentemente dalla presenza di endometriosi profonda. Il rischio aumenta ulteriormente se si trasferiscono due embrioni e insorge una gravidanza gemellare. Infine, il rischio è massimo se la gravidanza è ottenuta con ovodonazione. È quindi doveroso informare la paziente che i problemi più seri possono insorgere proprio con il concepimento tramite fertilizzazione in vitro e che per limitare il rischio bisogna evitare una gravidanza gemellare. Indipendentemente dall’età della donna con endometriosi profonda, e particolarmente in caso di ovodonazione, deve essere trasferito sempre un embrione singolo, specie quando si trasferisce una blastocisti (cioè un embrione in fase più evoluta, a 5 invece che a 2-3 giorni). A differenza di un concepimento naturale, con la fertilizzazione in vitro noi ginecologi effettuiamo un vero e proprio intervento medico che deve essere quindi accompagnato da una adeguata informazione e da un adeguato consenso informato. L’eccesso di interventismo quindi non riguarda solo la chirurgia, ma può riguardare anche il campo della fertilizzazione in vitro.

Cosa pensa della Presa in carico paziente cronica (Decreto Regione Lombardia 8735)?
Penso che sia una buona iniziativa. Trovo che il documento sia ben scritto e apprezzabile e che sia un passo avanti per la qualità dell’assistenza della paziente affetta da endometriosi.

 

PaoloVercellini bn

Prof. Paolo Vercellini
Università degli Studi di Milano - Direttore Unita Operativa Complessa Ginecologia – Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

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