Abbiamo una serie di armi a disposizione per combattere la malattia: si deve usare l’arma giusta al momento giusto
Intervista al Prof. Massimo Candiani
Direttore della Clinica Ostetrico Ginecologica ospedale San Raffaele di Milano
Abbiamo posto cinque domande a tre professionisti: queste le risposte del Prof. Massimo Candiani
Come scegliere tra approccio medico e approccio chirurgico alla malattia?
È errato pensare che l’approccio debba essere esclusivamente medico o chirurgico: deve essere individualizzato e, a monte, deve essere una fatta scelta guidata da una profonda conoscenza della patologia e della paziente. A seguire, avremo una serie di opzioni a disposizione per fronteggiare la malattia e si deve scegliere quella giusta al momento giusto.
Nella maggior parte dei casi, nei centri che svolgono attività di procreazione medicalmente assistita, la paziente che vi giunge è già indirizzata alla PMA e non si approfondisce se sia più opportuno optare per un trattamento alternativo per la ricerca della gravidanza. Poiché le linee guida, i protocolli, le regole stabiliscono che si debbano seguire questi step, si seguono. Andrebbero tenuti presenti l’epoca di insorgenza della patologia, l’età della paziente, i precedenti eventuali interventi o terapie, il suo desiderio di prole, le proprie conoscenze della patologia, lo studio della coppia; tutti questi fattori vanno presi in considerazione in maniera obiettiva, per dedurre quale sia la strada più adeguata. Perché una donna che cerca di concepire, se può ancora tentare di raggiungere il suo obiettivo attraverso una ricerca spontanea, dovrebbe preferire una fecondazione assistita? Così come per il chirurgo può essere diventata pratica comune che una donna si sottoponga a una laparoscopia, considerandola un intervento mini invasivo - e sbaglia a pensarla così – allo stesso modo, la procedura di PMA viene considerata, da chi la esegue, estremamente naturale, alla stregua di una ricerca di gravidanza spontanea. Ognuno tende a fare quello che sa fare meglio - fa parte della natura umana - ma la terapia dell'endometriosi va adattata alla singola circostanza ed alla singola paziente. È come confezionare un vestito su misura.
Alle pazienti vengono spiegate le complicanze di un intervento? Esiste un limite?
Spiegare ed elencare ad una paziente il tipo di complicanze a cui può andare incontro è doveroso ma potrebbe spaventarla a seconda di come queste complicanze vengono presentate; molto spesso nasconde una forma di tutela da parte del medico, a discapito di quell’empatia e fiducia reciproca che si deve instaurare. Ovvio che se operiamo un caso di endometriosi che coinvolge il retto, la vescica o gli ureteri ci possano essere delle complicanze. Inutile dire che siano del 4, 8, 11%… posso dire che siano limitate, ma che è quello che dobbiamo fare, spiegandone il motivo. La scelta va orientata ed effettuata verso la terapia che riteniamo indicata, indipendentemente dai timori che il chirurgo possa avere delle eventuali complicanze: deve impegnarsi per ridurre al minimo il rischio di complicanze e per farlo deve conoscere a fondo la paziente, la malattia e la possibilità di modulare la chirurgia. Esistono alcune realtà dove, alla sola la presenza di endometriosi rettale, indipendentemente dal grado di infiltrazione, di estensione, di sintomi associati, l’approccio è quello di eseguire estese resezioni intestinali. Spesso non è necessario, si può agire in modo diverso, minimizzando il rischio di complicanze.
Quanto le pazienti sono a conoscenza delle complicanze di un intervento?
Molto secondo me, perché possono documentarsi sul WEB, e in genere lo fanno. La paziente che sa di soffrire di una endometriosi pelvica, arriva in consulenza già spaventata. Se ritengo che quella sia l'indicazione corretta, devo cercare di tranquillizzarla, non aumentare le sue paure, le sue ansie. Metterla davanti alle soluzioni ed agli ipotetici rischi che sono comunque affrontabili e risolvibili. Io non ho mai visto donne affette da endometriosi, non operate precedentemente, presentarsi in ambulatorio in carrozzina: la malattia, da sola, non porta a questo stato, è la chirurgia che, inconsapevolmente e involontariamente, può condurre a quel problema, con una strategia ed una tecnica iperaggressiva, non richiesta per una patologia benigna come l’endometriosi.
La neurostimolazione non è una conseguenza dell’endometriosi. La neuropelveologia, branca della chirurgia ginecologica, è nata per andare a riparare i danni di una chirurgia troppo radicale dell’endometriosi. Deve esistere una gradualità di approccio terapeutico e di modulazione, sia nella chirurgia che nella terapia medica. A volte le terapie si possono integrare e compensare, ma non è protocollabile: primo step antinfiammatorio, secondo step pillola, terzo step l’analogo, quarto forse la chirurgia… no, dipende. Prendiamo ad esempio le cisti endometriosiche: non bisogna demonizzare la chirurgia perché rimuovendo la cisti si può danneggiare l’ovaio e quindi creare più danno che non lasciandola così come è. Se non viene operata, e si attende che la donna concepisca spontaneamente, le probabilità che ciò accada sono scarse; si passa allora ad un percorso di PMA, ma per fare questo si va a stimolare l’endometriosi per ottenere dei risultati che nella migliore delle ipotesi sono intorno al 20-25%. Al contrario, sappiamo che in una categoria di donne in cerca di gravidanza, in presenza di endometriomi ovarici, con la chirurgia si possono ottenere dei risultati superiori al 50-60%. Il tutto va necessariamente rapportato all’età della paziente e ad altri fattori concomitanti da considerare. Ovvio che una donna di 40 anni sarà inviata ad un programma di fecondazione assistita, perché oltre all'endometriosi ha delle difficoltà "naturali" nel concepimento spontaneo. Trovo assurdo, per esempio, che una ragazza di 28 anni venga inviata, come primo approccio alla ricerca di una gravidanza, in un centro di sterilità per essere sottoposta ad un ciclo di stimolazione ovarica e fecondazione in vitro, perché è stato riscontrato un endometrioma ovarico di 5 centimetri durante una visita ginecologica con ecografia pelvica. Quella paziente avrà elevate possibilità di rimanere incinta spontaneamente, preservando la funzionalità dell’ovaio, se la chirurgia verrà eseguita in modalità tali e con l'impiego di tecniche attente a minimizzare o eliminare il danno relativo alla chirurgia stessa.
Quali mezzi esistono per fare chiarezza?
Come si fa a fare chiarezza nelle pazienti quando non c’è chiarezza tra coloro che ti devono educare e curare? Il problema è che noi parliamo di ‘chiarezza’ quando incaselliamo le cose che non sono incasellabili. Di base non c’è chiarezza tra i professionisti e, le rispettive convinzioni portano frequentemente a decisioni terapeutiche nettamente antitetiche, dimenticando la gradualità e la modulazione terapeutica di cui abbiamo parlato. L’altro problema è relativo alla umana tendenza nel cercare di fare quello che si sa fare al meglio: se io conosco alla perfezione l’endocrinologia ginecologica e le relative terapie farmacologiche, ma non ho sviluppato una adeguata preparazione chirurgica, per scelta o circostanze, continuerò a cercare soluzioni dettate dalla mia esperienza, qualche alchimia per trattare la paziente da un punto di vista farmacologico o mi dirigerò immediatamente verso le tecniche di procreazione assistita. Allo stesso modo, se sono un eccellente chirurgo, che crede di risolvere qualunque quadro clinico operando e radicalizzando, mi precludo una serie di soluzioni intermedie e adotto comunque un approccio sbagliato. Ci vuole consapevolezza ed equilibrio.
La formazione va fatta su entrambi i fronti: studenti di medicina e possibili future pazienti. Oggi la cura dell’endometriosi dipende dalle diverse realtà: l’informazione la si respira e la si ottiene nei centri che maggiormente trattano la patologia, accentrando casistiche. Molto meno in altre realtà che, di fronte a casi di endometriosi severa, dovrebbero indirizzare le pazienti verso centri di riferimento specializzati. Attualmente, i medici che intraprendono questo percorso hanno sufficienti informazioni e mezzi a disposizione per fare diagnosi, ma sono pochi i medici in grado di approcciarla a 360° da un punto di vista terapeutico: non è una chirurgia facile e non è una terapia medica facile da modulare e adattare alla singola paziente. Come dicevo, manca chiarezza in primis tra di noi, perché ci sono ancora molti dubbi relativi all'eziopatogenesi ed alla storia naturale della patologia. Noi trattiamo i sintomi, i segni, gli effetti legati all’endometriosi. Difficilmente andiamo a trattare l’endometriosi.
Quanto la chirurgia incide sul desiderio di maternità della paziente?
Molto. Poi dipende dalla storia clinica: ho già avuto figli? Quanti anni ho? Ho avuto altri interventi? È più comune che prevalga nella donna che soffre di dolori pelvici cronici associati e che abbia già eseguito terapie farmacologiche che, per effetti collaterali o inefficacia, non siano più indicate. Teniamo presente che quando si sottopone una giovane donna in cerca di prole ad una laparoscopia per un piccolo endometrioma, nella maggior parte dei casi si trovano delle concause per le quali non riusciva a concepire. A quel punto, una terapia chirurgica che ha minimizzato i rischi, ha minimizzato anche le possibili complicanze e notevolmente aumentato i tassi di gravidanza spontanea. L'utilizzo del laser CO2, per esempio, offre risultati sorprendenti in termini di preservazione della funzione ovarica e tassi di recidiva. È noto come l'endometrioma possa compromettere la funzionalità dell’ovaio, l’endometriosi e la sua azione infiammatoria possano creare un ambiente biologico ostile alla ricerca di una gravidanza.
Tra le pazienti, c’è chi è alla ricerca del medico che le dica quello che vuole sentirsi dire, c’è chi cerca il medico che le dia maggior fiducia. La fiducia va instaurata perché sappiamo come sia facile arrendersi e non farsi più curare… Il linguaggio utilizzato, il modo di interloquire con la paziente sono fondamentali e le associazioni dovrebbero promuovere un convegno sulla comunicazione medico-paziente, sul come parlare, sul come comunicare e creare un percorso costruttivo per la paziente che soffre per l’endometriosi.
Prof. Massimo Candiani
Direttore della Clinica Ostetrico Ginecologica ospedale San Raffaele di Milano, Docente coordinatore del corso di laurea in Ostetricia e Ginecologia, Direttore della Scuola di specialità in Ostetricia e Ginecologia, Professore ordinario Facoltà di Medicina e Chirurgia.